CONCORSICONTRO
perché non
bisogna credere nei Concorsi Letterari
di Franco Del Moro
Chi segue la nostra rivista e la nostra attività
editoriale saprà che noi non abbiamo mai organizzato "Concorsi
Letterari" né "Premi" né altro del genere, che pure sono il pane
di iniziative culturali simili alla nostra.
Questo indirizzo è una mia precisa scelta voluta fin
dall'inizio (non sono certo mancati collaboratori che volevano a tutti costi
"inventare" nuovi concorsi letterari per risollevare le sorti economiche
di Ellin Selae...) e rientra in un quadro più ampio di assoluta trasparenza,
il cui profilo principale, non mi stancherò mai di ripeterlo, è che Ellin Selae
pubblica chi merita, non chi paga.
Scriveva giustamente Giampaolo Rugarli sul "Corriere
della Sera" di qualche tempo fa: "...forse
lo sbaglio più grosso degli editori sta proprio in questo, nel rifiutarsi di
capire che la pulizia e la trasparenza giovano ai libri proprio come giovano
alla amministrazione dei beni e dei servizi pubblici".
Anche i libri collettivi da noi editati (come il recente
"Nel vuoto arioso del mondo") non nascono da concorsi, come
usualmente succede, ma da un semplice invito a inviare i testi per la
selezione. La differenza consiste nel fatto che l'invito (e la pubblicazione) è
totalmente gratuito, mentre la partecipazione a un concorso, in genere si paga:
poco o tanto che sia, che si chiami "quota di partecipazione", oppure
"diritti di segreteria" o in altra maniera, sempre di soldi si
tratta.
Anche se gli Autori lo sanno ma fanno finta di niente,
sono certo che la ragione per cui in Italia vengono organizzati ogni anno
centinaia di Concorsi (una stima recente conta non meno di 2.000 fra concorsi e
premi gestiti da case editrici ed enti di varia natura) è proprio nel fatto che
gli organizzatori, comunque vadano le cose, alla fine ci guadagnano.
Mentre dietro a grandi premi ci sono i grandi editori (lo
Strega, il Campiello e il Viareggio sono da lungo tempo appannaggio della
Mondadori, della Rizzoli, della Bompiani, della Einaudi...) dietro a quelli
piccoli ci sono piccoli editori. Questi ultimi non sono quasi mai editori di
qualità ma sono piuttosto quel tipo di editore che considera lo scrittore
emergente un pollo da spennare, e usano la strategia del concorso letterario per
attirare tutti gli illusi. Mentre i grandi concorsi si traducono in importanti
variazioni di vendita del libro premiato (ed è la ragione per cui se una casa
editrice se ne aggiudica uno è automaticamente esclusa dagli altri, con buona
pace dei "libri" che sono l'ultimo aspetto considerato), la vincita
di uno di questi concorsi minori è quasi sempre insignificante e di nulla
utilità promozionale: il vincitore in genere resta un illustre sconosciuto
tanto agli occhi dei lettori quanto a quelli degli addetti ai lavori, anche se
ha una collezione di riconoscimenti. I concorsi letterari sono quindi delle
macchine per far soldi.
Raramente lo scopo per cui un editore organizza un nuovo
concorso è quello di portare alla luce nuovi talenti nascosti, anche perché
per scoprire nuovi talenti basterebbe, con minore fatica, diramare un
comunicato del tipo: "La Casa Editrice X è intenzionata a pubblicare un
romanzo nella sua collana di narrativa. Tutti gli scrittori interessati
propongano il loro libro". I libri arrivano sempre a frotte, e l'editore,
senza bisogno di alcun concorso né di alcuna giuria, può comodamente scegliere
fra questi "il vincitore".
Talvolta gli scrittori che vogliono farsi conoscere
partecipano ai premi in quanto spesso al vincitore spetta la pubblicazione...
Si consideri che i partecipanti al concorso, con le sole quote d'iscrizione,
hanno già dato all'editore il suo guadagno, per cui la pubblicazione è un di
più, una formalità da cui non può astenersi, inoltre mi domando che differenza
passa fra 100 fotocopie di un dattiloscritto e la stampa di 100 libri non
distribuiti, non propagandati, non proposti al pubblico. E' facile evincere da
questa base di partenza che l'editore che stampa il libro "vincitore"
in genere è totalmente disinteressato al libro in questione.
Eppure il paradosso dell'Autore che paga l'Editore per
farsi pubblicare il suo libro (tanto diffuso da venir dato per scontato da chi
vuole iniziare la sua carriera di scrittore) è una trappola talmente palese da
non richiedere alcuno sforzo per venire smascherata essendo uno di quei rari
fenomeni che è già in stato di evidente contraddizione fin dall'inizio.
Quando un libro è valido ogni editore serio dovrebbe contenderlo
agli altri e pubblicarlo a suo spese, per lo stesso motivo per cui il
presidente di una squadra di calcio acquista i migliori giocatori o un buon
direttore d'orchestra è sempre felice di introdurre fra le sue fila buoni
strumentisti. La regola vale anche nel caso inverso: ogni libro valido non
dovrebbe fare sforzi per trovare un serio editore interessato. Ma lo sfascio in
cui si trova la situazione libraria nel nostro Paese, complicata dalle castranti
normative fiscali in materia, fa sì invece che gli editori seri tendano a
collassare finanziariamente o a scendere a compromessi qualitativi per
sopravvivere, complici di tutto questo anche i lettori che in genere
prediligono i nomi di grande richiamo e i titoli fortemente appoggiati dai
mass-media, alle proposte che partono invece dalla piccola editoria.
Per evitare l'estinzione molti piccoli editori di buone
intenzioni vengono spinti ad accettare le strade più oscure dell'editoria e,
in genere, il primo risultato di questa retrocessione qualitativa è la
creazione di nuovi concorsi letterari o, più frequentemente, la richiesta di
un contributo all'Autore per la stampa del suo libro. Spesso queste cifre sono
di gran lunga superiori a quelle che un buon tipografo richiederebbe per
stampare un uguale numero di copie del libro, proprio in virtù del fatto che l'editore
oltre alle spese tipografiche deve sostenere anche le spese di gestione della
sua casa editrice.
In entrambi i casi lo scrittore farebbe meglio ad
astenersi dall'accettare simili compromessi, anche perché una casa editrice
che realizza i suoi utili non con la vendita dei libri, bensì con la sola
stampa, è una trappola palese: una volta stampato il libro l'editore se ne
disinteresserà immediatamente proiettandosi alla ricerca di nuovi libri da
stampare per salvaguardare il suo fatturato. E all'Autore restano gli scatoloni
pieni...
L'equivoco non si verificherebbe se tali professionisti
dell'editoria anziché presentare la loro attività come "casa editrice"
la proponessero per quello che in pratica è: un "service"
tipografico.
Se lo scrittore che vuole uscire dall'ombra è convinto
che per emergere occorra passare da un Concorso Letterario o, peggio, da una
pubblicazione autofinanziata, vuol dire che si nutre di illusioni.
Tuttavia se presi coscientemente per quello che sono,
anche i piccoli concorsi possono dare
qualche soddisfazione, l'importante è che si abbia ben chiaro che per quanto
riguarda le ribalte letterarie, sono quasi sempre dei vicoli ciechi, dei
binari morti...
Continua Rugarli: "...La scena dei premi è riservata esclusivamente agli autori che hanno
già un minimo di notorietà e che sono sorretti dalle maggiori case editrici:
autori esordienti o sconosciuti hanno scarse probabilità di venir considerati.
Il fenomeno è più appariscente trattandosi di premi minori che, per acquistare
spazio e rilievo, preferiscono incoronare personaggi già famosi (...). Alla
funzione propositiva i premi antepongono quella celebrativa e, anziché
rinnovare, contribuiscono a imbalsamare. Viene premiato chi ha notorietà e ha
notorietà chi viene premiato."
Al recapito di Ellin Selae arrivano di tanto in tanto
libri accompagnati da lettere in cui gli Autori ci tengono a far notare che il
libro è arrivato finalista ad eventi tipo "Concorso Città di
Peregallo" o "Premio Letterario Riviera di Ponente". Niente di
più squalificante. Queste medaglie al valore fanno l'effetto contrario: un
Autore che ritiene meritevoli riconoscimenti insignificanti, laddove una
presentazione sterile ma dignitosa sarebbe bastata, dà l'idea di non avere
grandi numeri, così come un libro che ha vagato soltanto per concorsi di
terz'ordine non può che essere un libro di scarso interesse.
In questi casi consiglio agli Autori di non segnalare
alcuna menzione, a meno che non abbia il patrocinio di un contesto culturale di
una certa rilevanza.
Posso garantire che ogni editore spera sempre di trovare
il classico "capolavoro rimasto nascosto nel cassetto per vent'anni".
Ma nel momento in cui si trova tra le mani un libro che ha partecipato al
"Concorso delle 7 Valli" (e magari non lo ha neppure vinto), subisce
una immediata caduta di sentimento e ritiene, anche se a torto, il valore di
quel premio il massimo giudizio esprimibile su quell'opera. Questo accade in
special modo agli editori di qualità abituati magari a gestire grandi libri e
grandi nomi... figuratevi cosa se ne fanno di un primo classificato a uno di
questi concorsi...
Andrè Gide scriveva: "Diffida
di tutto ciò che ti lusinga, di tutto ciò che tende a farti credere che quanto
scrivi sia migliore di quanto realmente è. Alla lode presta un solo orecchio;
apri entrambi alla critica. Non preoccuparti troppo degli stupidi. E' un
piacere riuscire sgraditi a costoro; ma non curarti degli stupidi, e rinuncia a
considerare stupidi tutti coloro ai quali non sei riuscito a piacere."
Se un libro è valido non occorre far presente che è stato
premiato: l'editore in linea di massima non è una persona ottusa, dovrebbe
essere in grado di accorgersi del suo reale valore, quando c'è; deciderà cosa
farne in base alle sue impressioni e alla sua esperienza, e non certo in base
alle segnalazioni altrui; viceversa se il libro non è buono, la segnalazione
ricade in ugual misura sull'Autore e su chi ha organizzato il Concorso che ha
premiato un libro di scarso valore... Da qui il fatto che alla lunga gli
editori seri guardano con grande sospetto chi esce da questi piccoli concorsi
che talvolta premiano i partecipanti solo per il fatto di aver partecipato...
E così viene anche a cadere la ragione per cui molti
Autori partecipano ai Concorsi: la speranza che la vincita di un concorso
possa aprire strade più elevate...
Un tempo forse era così. Oggi, realisticamente, la
situazione è molto cambiata: la moltiplicazione delle iniziative ne ha compromesso
la credibilità, inoltre i canali da cui le case editrici attingono i loro
campioni sono altri, la maggior parte dei quali, purtroppo, hanno ben poco a
che fare con il mondo dei libri e della cultura... Un tempo inoltre il numero
di chi si sentiva motivato a fare lo scrittore era di gran lunga minore: gli
scrittori affermati non erano personaggi plenipotenziari al centro della vita
pubblica come oggi, ma contavano più che altro nei ristretti ambiti delle
Accademie, delle Università, e, in misura minore, del mondo della politica e
del palcoscenico. Viceversa oggi la sovrabbondanza di scrittori è paurosa, con
il curioso fenomeno (che non ha precedenti nella storia dell'umanità
alfabetizzata) che il numero degli scrittori sorpassa quello dei lettori. Chi
scrive si sente curiosamente assolto dal dovere di continuare a leggere, e
siccome i lettori abituali erano già pochi in partenza, ora che il numero
degli scrittori è aumentato, sono ulteriormente diminuiti. E' vero ciò che
scriveva Gian Carlo Roscioni: "La
strabocchevole quantità di libri che oggi vengono pubblicati e l'eccessiva
importanza che la maggior parte degli scrittori attribuisce ai frutti della
propria immaginazione o acribia, hanno finito per rendere la lettura e la
scrittura attività, invece che complementari, concorrenziali: se io voglio scrivere
i miei libri non ho tempo per leggere quelli degli altri".
Ed ecco il proliferare dei mille concorsi e premi che
sfruttano con astuzia la debolezza degli scrittori più vanitosi, che dopo aver
pagato per farsi stampare, arrivano talvolta a pagare anche per farsi
leggere... eppure Gide scriveva che "...l'artista
veramente grande non si lagna di non essere stato capito dalla sua epoca; al
contrario, attinge da quella incomprensione una garanzia di
sopravvivenza..."